LIBRI. UN TESTO PER SPIEGARE LA “SACCHEGGIOFONIA”
Il quadro completo delle norme internazionali sul diritto d’autore
«Un buon compositore non imita, ruba!». La frase del grande compositore russo Igor Stravinsky non dovette passare inosservata, anzi essere rigorosamente presa alla lettera da John Oswald, sassofonista canadese che nel 1989 autoprodusse un cd dal titolo quanto mai rivelatore -e geniale-: Plunderphonics vale a dire “saccheggiofonia”. E difatti di vero e proprio saccheggio si trattava, essendo il disco costituito da venticinque registrazioni create utilizzando parti di brani di compositori classici (da Beethoven a Liszt e a Verdi), jazzisti (da Bix Beiderbecke a Cecil Taylor), autori pop (dai Beatles a Elvis Presley). Manco a dirlo, il disco giunse in vetta alle classifiche di alcune emittenti radiofoniche, scuscitando l’ira funesta della Canadian Recording Industry Association che ottenne che tutte le copie del cd venissero distrutte, nonostante fosse stato prodotto da Oswald a proprie spese, gratuitamente, rinunciando a qualsiasi royalty o diritto. Ma la “saccheggiofonia” era ormai avviata; in difesa di Oswald si costituì la Copyright Violation Squad che propose di duplicare su audiocasseta Plunderphonics a tutti coloro che lo avessero richiesto. Non solo, però. Come affermano gli avvocati Patrizio Visco e Stefano Galli, esperti in diritto d’autore in ambito musicale, al di là della vicenda processuale, Plunderphonics sollevò importanti interrogativi, riproponendo il problema del rapporto tra musica, copyright e diritto d’autore. Un problema, inutile dirlo, oggi quanto mai complesso con l’avanzare delle nuove tecnologie e di internet.
Plunderphonics è solo uno degli espisodi riportati da Visco e Galli nel volume Il diritto della musica, edito da Hoepli: oltre 600 pagine che offrono un quadro completo delle normi vigenti in Italia e della legislazione internazionale sui diritti d’autore, diritti connessi e tutela della proprietà intellettuale; un ampio spazio, inoltre, è dedicato all’analisi dei principali contratti applicati in ambito musicale. È un libro tecnico, certamente, ma interessantissimo anche per i non addetti: è possibile, ad esempio, ripercorrere storicamente la storia della canzone d’autore, dalla coniazione del termine “plagio”, pare dal poeta latino Marziale, alla celeberrima causa con cui nel 1992 Al Bano accusò Michael Jackson di avere plagiato in Will you be there la sua canzone I cigni di Bakala. La causa andò avanti parecchi anni e si concluse solo nel 1999. Come? Lo spiegano bene Visco e Galli: sì, era vero, la canzone di Michael Jackson aveva una fortissima somiglianza con la canzone di Al Bano ma non era possibile sostenere l’accusa di plagio in quanto entrambi mostravano, a loro volta, una dirompente somiglianza con alcune canzoni popolari americane. Pertanto, sentenziò la Corte d’Appello di Milano, “gli specifici elementi della canzone di Albano che si ritrovano in quella di Jackson non posseggono neppure quel modesto grado di originalità richiesto per la tutela del diritto d’autore.” Vale a dire, il reato di plagio non sussiste, poiché il brano accusato di plagio e il brano che si assume palgiato difettano entrambi di originalità e creatività. Semplice imitazione, sterile imitatio. A Jackson e Al Bano per una volta, almeno, dovette essere sfuggita la lezione di Stravinsky.
Manuela Furnari
Jazz e dintorni
direttore responsabile Armando Brignolo
Fabiano Edirore
ottobre 2011